La “caneva” scavata dal nonno Antonio era un angusto locale di soli ventiquattro metri quadrati. Fu un lavoro che gli richiese un’intera estate. All’interno della sua cantina mise due botti in legno, da 12 e 8 ettolitri. Solo dopo qualche anno riuscì a costruire due vasche di cemento, da 21 e 23 ettolitri, col chiusino in legno.
Vista l’assenza di altre attrezzature si travasava a mano, col secchio di rame, e per pigiare si usavano i piedi. Tutta la famiglia, 5 figlie e un solo maschio, Aldo, al momento della vendemmia era schierata nella corte, armati solo di tinozza, secchio di rame, e “sessola” (paletta) di legno.
Le figlie entravano a piedi scalzi nelle tinozze, e cominciava la pigiatura mentre Antonio faceva la spola tra la corte e la cantina, dove il mosto entrava nelle botti, travasato nell’imbuto dal secchio di rame.